Si stima che il 25% della popolazione mondiale soffra di disturbi mentali di varia natura; quasi una persona su due di questo 25% decide, a un certo punto della sua vita, di rivolgersi a uno psicologo. Eppure, nonostante nel mondo ci siano ben 700 milioni di persone che hanno trovato la forza di chiedere aiuto, spesso chi vuole avvicinarsi per la prima volta a un percorso terapeutico deve combattere contro l’imbarazzo, la paura e la solitudine di chi è portato a sentirsi diverso. Se nella maggior parte dei paesi europei questo problema è stato in parte superato, in altri, come l’Italia, lo stigma sociale ha ancora un certo peso e l’idea che dallo psicologo ci vadano solo i “matti” è ancora ben radicata. La vergogna e la paura possono assumere diverse forme, facendoci trovare sempre nuove scuse per non affrontare noi stessi.
“Non devo andare da uno psicologo; non sono pazzo”
Quante volte hai sentito ripetere questa frase? Forse ti è stata riferita da un amico o forse è capitato persino a te di dirla in passato. Molte persone utizzano questa formula come scusa per non andare da uno psicologo.
Vai da un avvocato per ottenere una consulenza. Visiti un medico se hai quache problema di natura fisica. Quindi perché non incontrare uno psicologo quando non riesci a far fronte a determinate situazioni, sei stressato o hai problemi famigliari?
“Mi vergogno di stare male”
Star male con se stessi può generare forti sensi di colpa. Non è raro che chi sperimenta sulla propria pelle stati di malessere senta di meritare quel dolore; più si sta male, e meno se ne riesce a uscire da soli, più il senso di colpa aumenta.
Si tratta di un effetto psicologico tossico e invalidante, in quanto smorza sul nascere ogni possibilità di dialogo. Chi ha stabilito che una persona con problemi debba risolverseli eroicamente da solo? È un po’ come se il conducente di un autovettura, ritrovatosi bloccato sul ciglio della strada per via di un guasto al mezzo, si rifiutasse di chiedere aiuto al soccorso stradale e provasse, invece, a cancellare le tracce del contrattempo, spingendo l’automobile giù nel dirupo.
“Essere faccia a faccia con una persona più completa di me mi fa sentire inferiore e imperfetto”
Questa tipologia di vergogna il più delle volte nasconde la convinzione che solo i “peggiori” o i “perdenti” abbiano bisogno della terapia, mentre i “migliori” vivono una vita piena e felice, priva di confitti interni.
È importante capire che la vulnerabilità è uno stato di natura e che ogni tentativo di suddividere le persone in base alla loro forza e completezza è un puro esercizio di stile. Nessuno è invulnerabile al dolore. Gli stessi psicologi sono chiamati dalla loro stessa comunità scientifica a sottoporsi a un’analisi personale con il loro terapista di tanto in tanto.
Andare dallo psicologo serve anche a questo: capire che esiste una differenza sostanziale tra vulnerabilità e impotenza. Riconoscere la propria fragilità ci rende più forti, consapevoli e capaci di agire concretamente sui problemi che ci attanagliano.
“Mi vergogno di affrontare un problema frivolo”
La svalutazione della propria sofferenza è un’altra trappola psicologica che alimenta l’immobilismo e l’inazione. Potresti guardare ai tuoi problemi e avvertirli come sciocchi, se comparati a quelli “reali” di altre persone.
Ma chi stabilisce la gravità del problema e con quali criteri? Dietro la convinzione che esista una gerarchia delle cause per le quali è più o meno lecito provare dolore si annida, in genere, una totale mancanza di fiducia in se stessi. Superarla è un atto d’amore verso te stesso e di rispetto nei confronti della tua sofferenza.
“Come posso aprirmi e fidarmi di uno sconosciuto?”
Rivelare te stesso a uno sconosciuto può essere davvero difficile, soprattutto se alla base c’è un problema di mancanza di fiducia generalizzato. La timidezza ad aprirsi con una persona che non si conosce è uno dei deterrenti più comuni alla terapia.
In genere questa riserva viene sciolta durante i primi incontri con lo psicologo, quando ci si accorge che in realtà è molto più semplice confidarsi con uno sconosciuto di quanto non sia parlare con i propri familiari. Un rapporto dai confini chiari, anonimato, riservatezza e fiducia: sono queste le condizioni che permettono l’instaurarsi di un dialogo sincero e proficuo tra le parti.
“E se si scopre che ho qualcosa di serio che non va in me?”
A volte la vergogna può spingersi oltre, sconfinando nella paura di scoprire che c’è qualcosa di grave dentro di noi.
Come ridimensionare questo timore? Innanzitutto prendendo atto della verità: uno psicologo non fa diagnosi, a differenza dello psichiatra. Al massimo, in alcuni casi, può raccomandare una consultazione psichiatrica, se necessario.
Uno psicologo non ha alcun interesse a inserirti in un determinato schema e a prescriverti un trattamento standard. Il suo obiettivo, invece, è quello di creare le condizioni affinché tu riesca a vederti in modo diverso e di dotarti di nuovi strumenti, con cui sarai in grado di rispondere alla domanda che ti ha portato a iniziare un percorso terapeutico.
Non esistono soluzioni comuni a tutte le persone con problemi simili. Uno psicologo è una specie di guardiano dell’unicità, consapevole che ogni disagio va trattato in modo diverso.
“Non mi sento così male ogni giorno”
Nessuno può soffrire 24 ore al giorno. Ridimensionare i problemi, sminuendoli, rientra nel novero dei modi attraverso cui svalutiamo le nostre sofferenze. Un malessere non deve essere sottovalutato solo perché va e viene ad intermittenza: potrebbe sobbollire appena sotto la superficie, aspettando il giusto innesco per venire allo scoperto; o ancora, potrebbe cronicizzarsi e manifestarsi di volta in volta attraverso sintomi sempre diversi.
Vai dal medico solo quando i dolori articolari sono così gravi da non riuscire più ad alzarti dal letto? Non sarebbe preferibile scoprire il prima possibile che soffri di reumatismi? Solo ciò che si conosce può essere trattato e superato. Prima si conosce il proprio “nemico”, maggiori sono le possibilità di sconfiggerlo. Una regola che vale per tutto, comprese le difficoltà psicologiche.
“Non mi serve uno psicologo, il tempo guarisce tutte le ferite”
La vergogna e la paura di andare dallo psicologo possono farci addurre le scuse più fantasiose pur di preservare lo status quo, compresa quella del tempo che lenisce tutte le ferite. Sfortunatamente, il tempo non ha proprietà terapeutiche.
Certo, il passare del tempo può aiutarci a vedere le cose più chiaramente, a osservare i problemi da diverse prospettive e persino a nascondere il dolore, in alcuni casi. Allo stesso tempo, però, rischia di rendere i problemi cronici, piuttosto che risolverli. Non osservare le proprie difficoltà, sperando che si risolvano spontaneamente, non è mai una soluzione.
“Le persone non cambiano”
Nonostante le evidenze scientifiche portate dalle neuroscienze circa la plasticità cerebrale, c’è ancora chi è fermamente convinto che le persone non possano cambiare. Se gli psicologi la vedessero allo stesso modo, la professione non esisterebbe.
Attraverso la perseveranza e un profondo lavoro su se stessi, tutti possono cambiare. Ma, per farlo, è necessario convincersi che l’unico ostacolo al cambiamento è dato dai limiti che ci autoimponiamo e che il dolore è parte integrante della vita: la sofferenza da cui proviamo a fuggire, che magari ci porta a procrastinare all’infinito l’incontro con lo psicologo, è uguale a tutti gli effetti a quella che sperimentiamo e affrontiamo ogni giorno.
Chiedere aiuto è più di un atto di coraggio: è la prova tangibile che un cambiamento non solo è possibile, ma è già in atto.